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VITTORINI RACCONTA VITTORINI
preoccupazione di Ginetta per Ferrata. Voleva almeno
una parte dei suoi pensieri.
La guerra
Venne la guerra e prese i contatti con l’antifascismo
clandestino e il partito comunista che ne era il braccio
più attivo e organizzato. Nel giugno 1943 fu inviato in
Sicilia con un misterioso incarico «delicato» di cui non
parlò mai e di cui nessuno in famiglia seppe mai nulla.
Il 9 luglio gli alleati sbarcarono in Sicilia. Il 25 luglio cadde
il fascismo.
Vennero allo scoperto i partiti soppressi dal regime e,
almeno nelle piazze, tornò la discussione politica. La
notte del 26 luglio Vittorini fu arrestato dai carabinieri
insieme a Giansiro Ferrata e Battista Varisco per aver
distribuito manifesti «sovversivi».
«Gli antifascisti li hai messi in prigione...» così dice una
canzone popolare-partigiana dell’epoca, contro
«Badoglio vecchio coglione».
Furono rinchiusi nei sotterranei del palazzo di giustizia.
Ginetta faceva loro visita e portava qualcosa da
mangiare. Il capitano dei carabinieri che comandava la
piazza le disse: «Se cade qui una bomba in cortile, solo
lo spostamento d’aria uccide tutti». In agosto Milano fu
bombardata, ma non il palazzo di giustizia. Venne l’8
settembre. Lo stesso capitano dei carabinieri aprì i
cancelli per liberare Vittorini e gli altri; più tardi partì per la
montagna dove raggiunse i partigiani.
Badoglio e la monarchia facevano un errore dopo l’altro.
Intorno a Roma c’era il meglio dell’esercito italiano.
A Porta S. Paolo un primo attacco tedesco fu respinto.
Ma ai vertici c’era la fuga vergognosa, i tentennamenti,
il crollo.
Da quel settembre 1943 Elio fu nella resistenza attiva.
S’occupò di stampa clandestina e collegamenti.
Un giorno doveva trasportare della dinamite da un punto
all’altro di Milano.
L’aveva in una scatola di legno sul portapacchi della
bicicletta. Gli avevano raccomandato di passare dai
Bastioni a nord-est dove quel giorno non c’erano i posti
di blocco, ma il tempo era essenziale. Il ricevente non
avrebbe potuto attendere più di tre o quattro minuti
all’appuntamento. Arrivato a Porta Garibaldi Elio forò una
gomma. E ora che fare? Non c’era tempo di ripararla.
Ma non si poteva rimandare un sabotaggio o un’azione
partigiana per una gomma forata. Notò un operaio che
teneva una bicicletta per il manubrio e leggeva un
manifesto sulla Porta. Era un manifesto
dell’Organizzazione T.O.D.T., quella che arruolava operai
italiani per l’industria bellica tedesca.
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