Page 25 - PICCOLO TEATRO MILANO - FREUD
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AL CINEMA CON IL DOTTOR FREUD
                               di Maurizio Porro











       Amuleto raffigurante l’occhio di Horus,  Come sempre, una delle battute più belle su Freud
       incisione in avorio. Nella mitologia  è di Billy Wilder che, da giornalista, come già fatto con
       egizia, Horus (che spesso ha le
       sembianze di un bambino) è figlio di  Richard Strauss e Arthur Schnitzler, tentò di intervistare,
       Iside e Osiride; rappresenta l’ordine,  prima di partire per Hollywood (non a caso sarà detta la
       l’equilibrio, il bene, contrapposti al
       caos, alla violenza e al male incarnati  “Fabbrica dei sogni”…), il famoso psicanalista,
       da Seth. L’occhio di Horus era un  specificando che nessun austriaco comunque allora
       talismano di guarigione.
       © Freud Museum London.  andava in analisi. Nel libro di Cameron Crowe
                               Conversazioni con Billy Wilder (ed. Adelphi) il regista
                               racconta che fu messo alla porta subito dal professore,
                               senza poter dire mezza parola né stringergli la mano,
                               per odio preconcetto verso la stampa. Un odio restituito
                               con i dovuti interessi da Wilder nei suoi film (la visita e
                               corsa in ambulanza in Prima pagina), miniera di psycho
                               annotazioni, come sarà tutta la scuola yiddish con capo
                               classe Woody Allen. E divertente è che, flash back del
                               1925, mentre Wilder penetrò nello studio del
                               dr. Sigmund, Berggasse n. 19, pieno di tappeti turchi e
                               arte africana e precolombiana, fece in tempo a sbirciare
                               “quel” famoso divano, trovandolo particolarmente
                               piccolo e corto: «Evidentemente le sue teorie si
                               basavano sull’analisi di persone minuscole», commentò.
                               La verità è che ci sarà pure una ragione se il cinema e la
                               psicanalisi (oltre l’arte di volare, in senso reale oltre che
                               metaforico) sono nati nello stesso periodo, lasciando
                               stare il teatro che vince sempre perché già i Greci e
                               Shakespeare avevano capito tutto delle tragedie che si
                               consumano in tre atti di inconscio. Ma nient’altro come
                               il cinema, per sua potenza espressiva e per il tasso
                               emotivo di comunicazione è stato, in 120 anni di storia,
                               calamita così potente per illustrare i meccanismi onirici
                               (una volta bastava ondulare lo schermo e si entrava nel
                               mondo dei sogni) e dare così la priorità a quell’invisibile
                               che il buon cinema (vedi Antonioni, Kieslowski, Truffaut e
                               moltissimi altri) deve saper esprimere. Si adoperano allo
                               scopo, avendone le possibilità, le associazioni libere,
                               come ha fatto Fellini in 8 1/2, che non a caso è il
                               risultato di anni di sedute junghiane col prof. Bernhard,
                               (post trauma da Dolce vita), da cui poi proviene anche
                               quella meraviglia che è il Libro dei sogni. Diciamo, a

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