Page 28 - PICCOLO TEATRO MILANO - FREUD
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MAURIZIO PORRO
bianco e nero al colore, il cinema acquistò la parola ma
già era in grado di comunicare ogni cosa nascosta
dentro l’anima: la Falconetti Giovanna d’Arco di Dreyer
parlava già con gli occhi. Le parole (e poi la musica)
servirono per spiegare i meccanismi delle nevrosi.
Così tutta la saga dei grandi melodrammi ’40 e ’50,
quando gli uomini erano in guerra e le signore tenevano
i fazzoletti nella borsetta, ma non più per sovvertire le
leggi del racconto letterario, come accadde nei tempi
felicemente surreali e fantastici di Luis Buñuel di cui è
obbligatorio citare non solo, per ragioni oftalmiche,
Un chien andalou del ’29, come anche Il fascino
discreto della borghesia, con un magnifico sogno
collettivo sul palco di un teatro: va in scena la vita, così
come era un incubo L’angelo sterminatore, trionfo
dell’assurdo. Il montaggio in un film, fondamentale per
indicare senso e direzione come sapeva bene
Eisenstein, equivale in soldoni all’inconscio onirico, con
gli accostamenti non sempre giudiziosi legati alla
memoria del vissuto fatto a pezzi e ricomposto secondo
altre regole occulte.
Il 28 dicembre 1895 mentre si proiettava il primo film dei
fratelli Lumière a Parigi, Freud a Vienna interpretava il
suo primo sogno: il dottore vedrà il suo primo film in
Piazza Colonna a Roma solo nel 1907, confessando il
suo “incantesimo”; nel 1909, al Victoria Theatre di New
York, assistette ad alcuni rulli comici in compagnia di
Jung, Ferenczi e Jones, non proprio il pubblico
scherzoso dei cine panettoni. Poi nel ’36-’37 pare si
fosse divertito con due film americani di genere
(noir o western?) e di sicuro amava Chaplin e l’avrebbe
volentieri fatto sdraiare sul suo lettino, probabilmente
con ottimi risultati per entrambi. Dicevamo che, coevi,
cinema e psicanalisi hanno vissuto insieme (quasi) felici
e contenti. Tutti i film in verità si possono leggere in
controluce dal punto di vista psicanalitico: sarebbe
più facile dire in quali pochissimi titoli l’analisi non sia
presente o ipotetica. Per il resto, decine di migliaia
di titoli, l’esperienza dell’inconscio è dichiarata, alla base
del processo creativo e anche di quel meccanismo
di ricezione misto che è una platea, dove Mia Farrow
si può alzare ed entrare nello schermo (La rosa purpurea
del Cairo). C’è una manciatina di bio movies classici
sulle vite di Freud e Jung, come si sono raccontati non
solo ma soprattutto a Hollywood amori e miracoli, di
artisti, musicisti, scienziati, letterati. Il primo fu John
Huston con Freud con Montgomery Clift nel ’62, che
sembrò però, allora, dopo tanta attesa, una delusione;
l’improbabile Sherlock Holmes: soluzione sette per cento
di Herbert Ross, ’76 (Alan Arkin è un Freud alle prese
con droga e Sherlock); infine Freud e Jung insieme nel
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