Page 10 - MISERICORDIA | PICCOLO TEATRO MILANO
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CONVERSAZIONE CON EMMA DANTE
Forse non verranno colte proprio tutte le parole, ma la
storia che veicolano arriverà tranquillamente a chi sia
disponibile all’ascolto. Il teatro per me serve a creare un
dialogo tra una persona “matura”, lo spettatore, e lo
spettacolo, per definizione “immaturo”, in quanto giostra
giocosa dell’orrore. Perciò non può essere il
palcoscenico il luogo dove mostrare un prodotto dettato
dall’esigenza di addomesticare, accomodare, coccolare
il pubblico come se fosse un cucciolo bisognoso di cure:
allo spettatore si chiede anche di fare uno sforzo.
Perché hai inserito dei riferimenti a Pinocchio?
A un certo punto del testo, si dice che il padre di Arturo,
l’uomo che ne uccide la madre, faceva il falegname e nel
quartiere era soprannominato Geppetto, perché andava
sempre in giro con un berretto di lana e i guanti bucati;
al di là di questo, l’elemento che principalmente mi ha
guidato verso il Pinocchio di Collodi è che, nella nostra
tradizione culturale, è il romanzo simbolo di un rito di
passaggio, della crescita, della scoperta di sé, della
trasformazione. Così, nello spettacolo, il bambino nato
“duro”, legnoso, massacrato ancor prima di nascere,
generato dalle percosse che lo hanno rovinato per
sempre, attraverso l’amore di tre donne, piano piano
diventa bambino. Perché loro non sono solo mamme:
sono anche un po’ fate.
Perché, alla fine, lo mandano via?
Pretendono per lui un destino migliore. È un finale aperto
alla speranza: non è una cacciata, né un abbandono.
Si augurano che Arturo possa avere una sorte diversa
dalla loro.
È la tua seconda produzione al Piccolo. Cosa
significa per te?
Proprio perché è un teatro che ho sempre amato, tengo
moltissimo che lo spettacolo possa parlare al pubblico di
qui, a Milano, e che possa stabilirsi “una corrispondenza
d’amorosi sensi”. Gli spettacoli sono creature fragili, ma
possiedono l’immenso potere di farci uscire da teatro
diversi da come vi eravamo entrati.
(a cura di Eleonora Vasta)
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